Malattia di Wilson

La malattia di Wilson è una malattia rara, ereditaria, trasmessa in modo autosomico recessivo. Si manifesta cioè quando entrambi i genitori sono possessori di un gene alterato.  E’ caratterizzata dall’accumulo del rame nel fegato, nel sistema nervoso centrale, nella cornea, nel rene e nelle ossa. Colpisce soprattutto giovani fra i 20 e i 30 anni, ma colpisce anche i bambini e le persone di > 40 anni. Nei bambini provoca un danno prevalentemente epatico.

La prevalenza della malattia in Italia varia da 1:30.000 persone a 1:100.000, ma in Sardagna si ha la prevalenza più alta mai registrata: 1:27.000.

Il codice di esenzione della malattia di Wilson è RC0150.

La malattia può decorrere asintomatica ed essere scoperta per caso, può avere manifestazioni neuropsichiatriche o manifestazioni epatiche che vanno dall’insufficienza epatica fulminante alla cirrosi, ad un quadro di steatosi epatica, cioè di accumulo epatico di grasso, che solo la valutazione del ferro sul frammento di fegato prelevato con la biopsia consentirà di identificare come m.di Wilson. E’ possibile che la m. di Wilson si manifesti con una anemia emolitica Coombs negativa. Un aspetto caratteristico che accelera la diagnosi è l’accumulo di rame nella cornea. Tale accumulo provoca l’anello di Kayser-Fleischer presente nel 90% delle forme neurologiche e nel 40% delle forme epatologiche. Le manifestazioni neurologiche comprendono tremore, rigidità incapacità di scrivere, difficoltà della parola, incapacità di camminare, depressione.

Le manifestazioni possono interessare anche altri organi incluso il cuore (aritmie), lo scheletro (osteoartriti), il rene (calcolosi, ipercalciuria).

La diagnosi è difficile. Si basa su diversi aspetti che possono essere tutti o in parte  contemporaneamente presenti. Per la diagnosi è necessaria la contemporanea presenza di almeno 2 delle seguenti caratteristiche:

  • livelli bassi della proteina che trasporta il rame assorbito dall’intestino, la ceruloplasmina (<20 mg/dl);
  • escrezione del rame con le urine superiore a 100 mg/24 ore;  
  • contenuto di rame sul frammento di fegato prelevato con la biopsia epatica che supera di 5 volte il valore normale;
  • presenza di almeno 2 mutazioni nel gene che codifica per la proteina che trasporta il rame ATP7B sul cromosoma 13.

Sono conosciute 520 mutazioni del cromosoma 13, il sequenziamento di tutto il gene consente di individuarle come facciamo nel Laboratorio di Epatologia dell’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”. La proteina che trasporta il rame è contenuta nelle membrane dell’apparato di Golgi della cellula. Questa proteina elimina il rame in eccesso, il suo cattivo funzionamento comporta eccesso di rame nelle cellule del fegato, nel sangue e, di conseguenza, in altri organi. Esistono diverse varianti nella sequenza di questo gene e non tutte si associano a manifestazioni della malattia. La presenza di 2 mutazioni viene ritenuta necessaria per la diagnosi.

Il monitoraggio della malattia va effettuato attraverso gli esami del sangue che valutano la funzionalità epatica, l’elastometria, cioè il fibroscan, e i test neurologici. Va monitorata l’escrezione del rame nelle urine.

La terapia è efficace, ma dura tutta la vita. Quando è curata in maniera efficace la malattia si associa a sopravvivenza simile a quella della popolazione generale. La terapia si basa sui chelanti del rame (cioè sostanze capaci di catturare il rame in eccesso nei tessuti). Questi farmaci si devono somministrare precocemente. Sono D-penicillamina e trientina capaci di legare il rame favorendone l’eliminazione attraverso le urine. I chelanti hanno effetti collaterali. I sali di Zinco (zinco solfato) diminuiscono invece l’assorbimento del rame contenuto negli alimenti.

La terapia è a lungo termine e richiede una stretta aderenza.

Se la terapia fallisce il trapianto di fegato rappresenta l’unica alternativa.

Dottoressa Alessandra Mangia. (IRCCS – CASA SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA)

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