Non sono mai sola: da diciassette anni vivo con una malattia chiamata sindrome di Barter.
Mi sono sentita dire tante volte che sono speciale, perché della mia malattia ci sono quattro casi in puglia, perché nascere a sei mesi, pesare quanto un coniglietto e poi sopravvivere è da Supereroi.
E mi chiedo: ma sono speciale solo per questo?
non solo speciale, quasi singolare perché da piccolina ero l’unica a poter tenere l’acqua salata sul banco di scuola e ridevo un sacco quando gli altri bevevano per sbaglio. Così la mia acqua con i farmaci, suscitava negli altri una faccia tra lo schifato e il meravigliato, e si domandavano come facessi a berla.
Essere singolare significa avere imparato ad ingoiare tre compresse per volta, mentre i miei coetanei per ingoiarne una, devono dividerla in quattro parti.
Essere singolare è anche sentirti una piccola infermiera perché ormai prepari la tua terapia da sola.
Essere singolare era ed è poter mangiare patatine a volontà perché ho bisogno del sale, è tenere il sale sempre a tavola e immergerci il dito come fanno i bambini con lo zucchero.
Essere speciale è essere felici di poter avere una cura a casa ed esserlo ancora di più di saltare un giorno di scuola pere fare esami do routine, e poi passare tutto il resto della giornata con la mia famiglia a fare compere, riuscendo sempre a strappare con una scusa e gli occhi dolci, l’ennesimo libro da leggere.
Essere speciale significa avere un padre pasticcere e non mangiare dolci, perché sin da piccolina, sono abituata al “sapore” del sale.
Essere singolare è riuscire a trovare il positivo nel negativo, essere felici per le piccole cose, ridere dei propri problemi, trovare i colori tra il trasparente dei cristalli di sale, e avere sempre a disposizione una ricetta di vita super saporita!
di Lorusso Caterina, Liceo Classico Cagnazzi Altamura